Diario di padre Maurizio Balducci in Uganda

Pubblicato giorno 10 Marzo 2021 - Diario Missionario, In home page, Iniziative amiche

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ORMAI SONO A CASA

 

Molti di voi mi chiedono: ti sei adattato già all’Africa? In realtà dopo tanti anni vissuti qui sin dai tempi della scuola di teologia e dopo solo qualche anno italiano, per me non si tratta che di un ritorno a casa, in fondo. Certo tante cose sono cambiate anche in Uganda nel frattempo e occorre mettersi nuovamente in paziente ascolto- che è sempre una mossa particolarmente vincente- e situarsi in un contesto nuovo.

Apparentemente sembra l’Uganda di sempre. Il contesto è quello del dopo elezioni che si sono tenute il 14 gennaio al termine di una campagna elettorale particolarmente violenta; violenza che è continuata anche nei giorni successivi alla tornata elettorale. Si sa che non sarebbe la prima volta che l’attuale presidente perda le elezioni ma continui a restare al potere. Questa volta il margine di vittoria è stato ancor più risicato nonostante i brogli, e questo preoccupa il vincitore. Il clima che si respira è sereno e tutto procede come sempre, tuttavia l’impressione è quella del fuoco che cova sotto la cenere. Ancora non è detta l’ultima parola nonostante il mandato verrà comunque conferito, ma…tutto può succedere adesso o…quando?

Abituati alla precarietà e all’instabilità che seguirono la dolorosa storia postcoloniale del nostro paese tutti si danno da fare per vivere e sopravvivere. Nonostante la bassa incidenza del Covid l’anno scolastico 2020, che solitamente va da febbraio a dicembre, è stato turbato e così solo Il 1° Marzo sono iniziati gli esami della quarta superiore, mentre gli esami di sesta sono previsti per fine marzo e quelli della settima elementare per metà aprile. Anche gli studenti delle altre classi ritorneranno a scuola con parecchio ritardo. Come accade anche in Europa non mancano però le perplessità e le resistenze da parte di parecchie amministrazioni scolastiche circa la convenienza di questa apertura, visto che la maggior parte delle nostre scuole superiori sono residenziali, paragonabili ai college e che soprattutto i dormitori e altri luoghi comuni sono stipati all’inverosimile.

Ho potuto tornare a gustare la vita e la gioia delle celebrazioni che non sono “cerimonie” bensì momenti nei quali i cristiani portano davvero il loro vissuto e si fanno carico delle situazioni della comunità, e mi son lasciato trasportare dalla bellezza dei canti e della musica; qui nella nostra parrocchia di Mbuya, uno dei colli su cui sorge Kampala capitale dell’Uganda, anche al mattino alle 7.00 e alle 13.00 la celebrazione è affollata e anche se sobria le 200 o più persone pregano con grande partecipazione. A turno è garantita la presenza di chi suona e dei solisti, oltre che dei tanti che garantiscono i vari servizi necessari alla sanificazione, alle riprese TV, all’amplificazione etc. Alla Domenica i battimani si sprecano e trovo particolarmente commovente ritrovare il suono del gong alla consacrazione del pane prima e poi del vino a cui segue, ritmato, il battito delle mani per tutto il tempo in cui il celebrante mostra il Corpo e il Sangue di Gesù.

Questo ritrovarsi è per me, come lo è stato negli ultimi mesi italiani, anche l’occasione di rivedere persone amiche e, alla faccia del distanziamento, tanti e tante si sono accalcati per venirmi a salutare, sorpresi di vedermi materializzato in mezzo a loro. Alcuni vengono perché avvertiti della mia presenza da altri nei giorni precedenti. Il Signore mi ha di certo benedetto con tanti amici coi quali spesso si creano legami la cui profondità stupisce.

Così mi hanno raccontato della recente morte di Sophia Barugahare, moglie di Anatoli. Li conosco fin dal 1985 quando, studente (come qualcuno avrà letto nei miei libricoli) collaboravo alla crescita di una comunità cristiana tra i Civil Servants dei blocchi di appartamenti di Bugoloobi e dei tanti poveri dello slum di Middle East. I Barugahare son sempre stati una delle famiglie di spicco al servizio della comunità. Fino alla fine Sophia ha vissuto con una profonda fede e serenità e mi son reso conto di quanto fossi affezionato sia a lei che al marito e ai figli. Mi han così raccontato che al termine del funerale è stato letto un messaggio in cui lei parla dei suoi dieci figli, anzi undici, perché tra loro c’è anche il p. Morris Mulengèra (che poi sarebbe il sottoscritto), missionario, che la coppia aveva adottato come uno della famiglia. Non vi dico quanto questo mi abbia colpito e commosso. Davvero i preti instaurano legami assai profondi con la gente e in Africa forse ancor di più!

Tra le persone care che tenevo a rivedere c’è la famiglia di Juliet la cui storia pure diversi di voi già conoscono e che i giovani del GIM venuti in Uganda con me han potuto conoscere personalmente. Anni fa ho celebrato il suo matrimonio con Michael, ormai giovane adulto, che avevo conosciuto da studente quando, bambino di circa tre anni, mi correva incontro per le viuzze di Middle East per esser preso in collo, quando gli altri bambini scappavano terrorizzati da questo gigante Musungu (dalla pelle rossa…). Al mio ritorno in Uganda, ci siamo incontrati spesso con lui e con Auntie Margareth, e così l’ho visto crescere ed aiutato a costruirsi un futuro, finché ha sposato Juliet con cui ha avuto due figli, Felicita Nalubega e Jildo (che in realtà doveva chiamarsi col mio nome sennonché ho proposto che si chiamasse col nome del più giovane dei martiri ugandesi del nord). Purtroppo crescere nello slum lascia ferite importanti e qualche volta Michael ha dato un po’ i numeri. Due volte l’ho affrontato duramente ed è riuscito a rientrare nei ranghi, mentre purtroppo, in questi ultimi anni, si è completamente abbrutito così che la moglie ha dovuto lasciarlo. Tutto questo mi provoca tanto dolore, ma non vedo purtroppo via d’uscita. Come tante giovani donne ugandesi che lasciano, come tante nostre badanti, i loro figli, per servire i figli degli altri, Juliet ha già trascorso due anni in Medio Oriente. Adesso, non riuscendo a trovare lavoro qui, si appresta a ripartire per altri due anni in Iraq. Quanto vorrei risparmiarglielo…, ma non sono nella posizione di poterlo fare offrendole qualcosa di meglio. E così, quantomeno, stiamo gustando questi giorni assieme prima che, grazie anche al vostro aiuto, Jildo si appresti a tornare a scuola.

Quand’eran piccoli le mie visite eran sempre una festa e dopo un buon semplice pranzetto i bambini si esibivano in esilaranti prove di canto e danza tradizionali sicuramente assai penose e improvvisate ma che ci facevano divertire un sacco. Il pranzo che mi hanno offerto, adesso che son cresciuti, è stato un pochettino più serio, anche se poi ci siamo messi a giocare col pallone che avevo loro comperato in un gioco senza regole. Molto poco professionale direi, ma ci siam proprio divertiti e i passanti come sempre si stupivano di vedere un Musungu che liberamente interagiva coi figli dell’Africa. Basta un pallone per esser felici.

E qui l’ideona: ho pensato che domenica 28 febbraio potessi invitare tutti e tre nientemeno che al ristorante. Non pensate adesso ai nostri ristoranti! Però per l’Uganda è comunque un posticino di un certo livello dove magari non sarebbero mai entrati. Subito ci siamo fatti conoscere per la confusione che abbiamo creato ed era buffo vedere la gente che ci guardava, passando di volto in volto, senza riuscire a cogliere che tipo di relazione ci fosse tra noi. Sia il cibo che le bibite son state fotografate più e più volte, tanto era epocale l’evento. Ma il clou è stato quando ho chiesto loro se volessero un muffin o un ice cream. Un GELATO VERO, non di quelli chimici. Un gelato vero che costa 5.000 scellini (€ 1.30), cioè una piccola fortuna!

Quello si che è stato fotografato ed è stato mangiato lentamente, assaporato ben bene. E quanti ringraziamenti aggiuntivi (che mi mettevano in forte imbarazzo) solo per quel gelato. Avevo fatto felici i miei amici che strombettavano ovunque quasi per stigmatizzare questo giorno che non dimenticheranno mai. Alla fine, per non scandalizzarli, ho chiesto loro di aspettarmi fuori mentre pagavo. Felicita infatti, che ha trovato un lavoretto da segretaria, è pagata 100.000 scellini al mese; io ne ho spesi, per un pranzo, ben 105.000, circa 25 euro! Però ben spesi, concordate?

Da mercoledì 3 febbraio ho raggiunto Gulu, la mia nuova missione, e vi racconterò.

Alla prossima, allora, con nuove emozioni

P Maurizio

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